I bambini d’acqua

La scomparsa di un figlio, soprattutto in tenera età è sempre una tragedia tremenda che genera molto dolore. Ma non dobbiamo dimenticarci che, purtroppo, esistono anche i bambini nati morti o i feti abortiti. Anche a questi, naturalmente con le dovute attenzioni e sensibilità, si possono rivolgere riti e credenze.

Di sicuro la più suggestiva è quella buddista, dove un bambino che muore prima di nascere non può andare in paradiso perché non ha mai avuto l’opportunità di accumulare un buon karma, ma viene mandato in un luogo chiamato sai no kawara sulle rive del fiume Sanzu. Questi riti prendono il nome di mizuko kuyō.

L’immaginario che circonda queste credenze è variegato, ed anch’esso è il risultato di evoluzioni storiche, ma possiamo dire che nella maggior parte dei casi la rappresentazione ricorrente è quella che vede gli spiriti dei bambini radunarsi lungo il fiume dei morti, e, incapaci di attraversarlo, perché alcuni demoni gli intralciano la strada, le piccole anime giocano, e cercano di costruire dei piccoli templi con i sassi del fiume, nella speranza che questa azione permetta loro di accumulare meriti e di raggiungere l’altra sponda del fiume o una rinascita immediata. 

Immancabilmente i demoni arrivano e distruggono senza pietà le costruzioni, e immancabilmente i piccoli spiriti ricominciano da capo. È un’immagine molto triste, dove la piccola anima è rappresentata sola, spesso dimenticata dai genitori, e incapace di liberarsi da questo luogo di pena, per certi versi simile al Limbo cristiano, a metà tra la vita e la morte. Questa situazione tragicamente senza uscita è tuttavia interrotta in diverse tradizioni dalla comparsa del bodhisattva Jizō, figura estremamente popolare in Giappone, che distrugge i demoni e salva i piccoli dal loro stato di tristezza e miseria. 

L’azione di Jizō contro i demoni, in difesa delle piccole anime solitarie, è estremamente rapida e totalizzante, e non lascia spazio alla descrizione dell’effettivo scontro tra queste due figure: in altre parole, non esiste un vero scontro tra bene e male, tra demoni e dio salvatore, ma anzi l’azione di Jizō è assoluta e totalizzante, garantendo alle anime dei piccoli bambini l’immediata salvezza. 

Nella pratica contemporanea, i mizuko kuyō si articolano in diverse attività culturali, che variano a secondo del rito. Un primo genere di riti è quello gestito dalle donne della comunità locale, spesso organizzate in associazioni informali dedicate a Jizō. Si tratta di una sorta di cura perpetua rivolta ad una statua collocata agli incroci o sul ciglio della strada: si posano dei fiori di fronte alla statua, la si lava di tanto in tanto, e si accende qualche bastoncino di incenso. Questi piccoli altari di Jizō, la cui protezione si rivolge tanto ai bambini morti in tenera età quanto ai bambini abortiti, sono spesso il più vicino possibile alle diverse comunità locali.

Esistono inoltre riti più complessi che esulano dalla sfera domestica o privata e sono di maggiore complessità. Tra i più diffusi troviamo il posizionamento di una statua ad immagine di Jizō all’interno di uno degli ormai numerosi cimiteri adibiti al culto dei mizuko. Tali cimiteri sono nati in origine all’interno di templi di diverse scuole buddhiste, ma si è assistito negli ultimi anni alla nascita di luoghi indipendenti che si occupano esclusivamente della commemorazione dei mizuko.

Vero, è una cultura molto diversa dalla nostra, che tende a celebrare il ricordo in maniera più intima. Possiamo trovare comunque due punti di incontro con la cultura italiana: il primo è che queste anime stanno in una zona dell’aldilà paragonabile al Limbo dei Bambini che, anche se non più menzionato nel catechismo di San Giovanni Paolo II, rimane un’ipotesi teologica possibile; il secondo è che queste anime sono in un posto neutro, in attesa di poter completare il proprio percorso nel buddismo o aspettando la misericordia di dio nel cristianesimo.

Questi riti, carichi di simbolismo e significati, appaiono molto diversi dai nostri, e effettivamente lo sono. Noi delle Onoranze Funebri Emidio e Alfredo De Florentiis riteniamo comunque importante far conoscere queste tradizioni che arricchiscono il nostro bagaglio culturale e ci danno uno spunto di riflessione diverso rispetto al nostro.

La festa delle lanterne

Quest’anno il Giappone è al centro del mondo per essere il Paese che ospita le Olimpiadi, una grande festa di sport e fratellanza tra popoli. Ma non sarà la sola manifestazione estiva nella terra del sol levante: infatti, come ogni anno, si festeggia Obon o, più comunemente, festa delle lanterne. Secondo le credenze popolari, durante l’Obon le anime dei defunti tornano per ricongiungersi ai propri cari, e simbolicamente le lanterne accese servono a guidarle verso la strada di casa.

Obon, è una delle ricorrenze giapponesi più importanti e partecipate da tutta la popolazione e ha origine dalla cultura buddhista e confuciana. È così sentita a livello sociale che la maggior parte delle persone può beneficiare di uno speciale congedo dal lavoro per poter prendervi attivamente parte. Nei giorni dedicati ci si riunisce e ci si prende cura delle tombe dei propri cari, cosa che non è sempre possibile fare in altri periodi dell’anno. Si passa del tempo con la famiglia ma anche con gli amici.

Il festival di Obon dura tre giorni; tuttavia la sua data di inizio varia all’interno delle diverse regioni del Giappone. Quando il calendario lunare venne sostituito dal calendario gregoriano all’inizio dell’era Meiji, le località in Giappone hanno reagito in modo diverso e questo ha portato a una divisione in tre momenti diversi della Obon. Lo “Shichigatsu Bon” (Bon nel mese di luglio) si basa sul calendario solare e si celebra il 15 luglio in tutto l’est del Giappone, in coincidenza con l’Ullambana. “Hachigatsu Bon” (Bon nel mese di agosto) si basa sul calendario lunare, si celebra il 15 di agosto ed è il momento più comunemente celebrato. “Kyu Bon” (Old Bon) si celebra il quindicesimo giorno del settimo mese del calendario lunare e cade in una data diversa ogni anno. “Bon Kyu” si celebra nelle zone della parte settentrionale della regione di Kanto, nelle regioni di Chūgoku, Shikoku e nella prefettura di Okinawa. Questi tre giorni non sono elencati come giorni festivi, ma è consuetudine che le persone facciano festa.

Tradizionalmente nei primi due giorni di festività vengono poste delle lanterne, a volte decorate finemente, fuori casa per guidare gli spiriti degli antenati, permettendogli di ritrovare la propria dimora terrena: questa pratica era molto diffusa un tempo, ma al giorno d’oggi sono sempre meno le persone che seguono questa tradizione. Il 15 del mese ci si reca al cimitero insieme alla famiglia per pregare, portando in offerta agli spiriti dei defunti cibo e bevande. Il giorno successivo si accendono nuovamente le lanterne, che questa volta hanno lo scopo di indicare agli spiriti la strada di ritorno per l’aldilà: a seconda delle usanze dei vari luoghi, queste vengono portate al tempio oppure lasciate trasportare dalla corrente di corsi d’acqua o del mare. 

L’Obon capita nel centro dell’estate e i partecipanti tradizionalmente indossano yukata o kimono di cotone leggero. Molte celebrazioni Obon includono un enorme carnevale con giostre, giochi e cibo estivo come l’anguria. La festa si conclude con la Tōrō nagashi, o la fluttuazione di lanterne. Lanterne di carta sono illuminate e poi messe a galleggiare lungo i fiumi a segnalare simbolicamente il ritorno degli spiriti ancestrali al mondo dei morti. Questa cerimonia di solito culmina in uno spettacolo pirotecnico. 

Una parte molto importante della celebrazione dell’Obon è la danza Bon Odori. Ogni zona del Giappone utilizza la sua musica e la sua danza tradizionale: la più famosa fra tutte è l’Awa Odori nella città di Tokushima, che attira ogni anno più di 1 milione di turisti.

Migliaia di persone vestite in abiti tradizionali danzano per le strade della città regalando agli spettatori uno spettacolo meraviglioso.

Da qualche anno, anche in Italia, grazie alle varie associazioni di cultura giapponese, è possibile vedere questo rito molto intimo ed emozionante. Le due manifestazioni più strutturate erano quelle di Treviso e Parma, purtroppo ferme a causa del covid.

La festa delle lanterne è un evento rituale incentrato sul tema del lutto e del ricordo. Non possiamo paragonarla però al nostro modo di rendere omaggio ai defunti, sia per la tradizione culturale, sia per quella religiosa. Infatti, anche se molto intima e emozionante, è una ricorrenza molto allegra e colorata, che ha lo scopo di ritrovarsi con i propri parenti per rendere omaggio e ringraziare gli avi non più in vita che proteggono dall’aldilà. 

Riti funebri in Giappone tra Shintoismo e Buddhismo

Il concetto di morte applicato alle religioni del mondo: oggi torniamo su questo argomento dopo aver affrontare il tema con dei Nativi Americani:

“Ecco perché per loro il concetto di Morte non è la “fine” di qualcosa ma una tappa del cerchio sacro, il simbolo che rappresenta la manifestazione di Wakan-Tanka, il Grande Mistero, che per tutti i nativi d’America è la massima divinità. Il passaggio della vita alla morte quindi, non era che un viaggio nel quale, chi rimaneva sulla terra, non si sentiva mai abbandonato grazie alla presenza di spiriti guida che si palesavano sotto forma di animali o forze soprannaturali ed assumono nomi diversi in relazione alla popolazione che li venera. Ad esempio, per alcune tribù le civette erano spiriti che si erano reincarnati; oppure: se una persona veniva uccisa tagliandole la gola o veniva privato del suo “scalpo”, il suo spirito restava sulla terra a disturbare i vivi; talvolta causando malattie e morte.”

In quale parte del mondo sbarchiamo oggi? In una terra mistica, magica e meravigliosa come il Giappone con i suoi riti e le sue secolari tradizioni che mescolano Shintoismo e Buddhismo.

Spieghiamo i tratti essenziali di queste credenze religiose:

  • Lo Shintoismo non prevede dogmi precisi ma una serie di rituali intesi a mediare le relazioni tra gli esseri umani e i kami cioè “dei”, che tuttavia non hanno molto in comune con le divinità a cui comunemente siamo portati a pensare: si tratta di entità soprannaturali presenti nell’intero universo, una sorta di spiriti che si esprimono particolarmente nelle forze della natura. Ogni elemento naturale è considerato manifestazione dei kami e, come tale, è in grado di stabilire un contatto con la sfera divina.
  • Il Buddhismo si indica quindi quell’insieme di tradizioni, sistemi di pensiero, pratiche e tecniche spirituali, individuali e devozionali, nate dalle differenti interpretazioni di queste dottrine, che si sono evolute in modo anche molto eterogeneo e diversificato.

Sono infatti queste due religioni che influenzano, nel paese asiatico, i riti legati alla morte:

“Nello Shintoismo non esiste una punizione ultraterrena, un giudizio universale o simili, perciò non vi è una particolare preoccupazione rispetto alla vita dopo la morte. Piuttosto, influenzato dalla sua matrice animista e dalle influenze buddhiste, questa religione si focalizza nel trovare l’armonia, la pace e la virtù in questo mondo.”  (Alberto Massaiu)

Le due anime religiose del Giappone condividono un pensiero con il Cristianesimo: l’idea della vita (dall’inizio alla fine) come festa, in quanto partecipazione alla vita divina. La persona che vive unita a Dio vive nella pace e nella gratitudine. Per questo motivo i giapponesi sono riconoscenti.

Anche nel paese del Sol Levante il defunto, per almeno 24 ore, rimane in casa o è portato negli ambienti appositamente adibiti dalle Pompe Funebri. A turno si veglia accanto a lui perché non si senta solo.

Da questo momento in poi i riti mutano a seconda delle zone; come racconta il sito Saveriane.it:

“Quasi sempre gli si mette vicino una scodella di riso per sostenerlo nel viaggio che deve intraprendere. Un tempo, pensando che i defunti dovessero attraversare prima un grande fiume e poi una montagna di fuoco, si collocava accanto a loro anche del denaro perché si pagassero il trasporto. e una ciotola d’acqua. C’erano poi vari riti ad indicare, sia la paura che l’uomo ha della morte, sia la vaga sensazione che per diventare Hotoke, cioé divinità, è necessario in qualche modo essere purificati La sera prima del funerale il bonzo viene a leggere alcuni “sutra” perché il defunto possa raggiungere il nirvana. A quel momento di preghiera partecipano familiari, amici, conoscenti, rigorosamente vestiti di nero. Ognuno passa davanti alla salma offrendo incenso e deponendo un fiore tolto dai grandi mazzi allestiti per la cerimonia. Dopo la cremazione tutti si ritrovano per un pranzo in comune nel ricordo della persona scomparsa.”

Se il per noi italiani il 2 novembre è il giorno del ricordo, i giapponesi ricordano i loro cari il 15 agosto con processioni, danze lente e tradizionali, lumini accesi su barchette, con cui si invitano quelli dell’aldilà a trascorrere alcuni giorni quaggiù con i propri cari, per poi far ritorno alla dimensione di eterna permanenza. Sono ricordati anche durante i giorni nel solstizio di primavera e autunno, come coloro che sono “passati” ed ora vivono in un altro mondo.

In realtà in Giappone non si crede a una vera distanza tra vivi e morti: i giapponesi cioè sentono una profonda e sentita riconoscenza verso coloro dai quali ha ricevuto la vita, e offre loro il frutto del proprio lavoro: primizie, cibo e preghiere, sull’altarino familiare.

Lì, ogni giorno, vibra il campanellino, il cui suono è come la voce dei propri cari.

A ciò va aggiunto che le preghiere si svolgono a scadenza fissa: cioè dopo 7 e 49 giorni dalla morte, poi durante alcuni anni. In queste occasioni è ancora chiamato il bonzo per la recita dei “sutra”.

Un vero e proprio legame quello con i cari che hanno lasciato questa terra per vivere nell’aldilà anche se… cos’è l’Aldilà per il popolo giapponese?

Culturismi.com spiega:

“il Paradiso può essere situato su questa terra, o al di là del mare, o su una montagna O negli abissi marini, oppure su, nel cielo. Vi sono casi in cui i kami (gli dei) dimorano lontano dai mortali, altre volte possono essere fra di noi, come se il regno umano e l’aldilà non fossero separati.”

Uniti per sempre, al di là della morte: sembra essere questo il mantra per i giapponesi; una dimostrazione di come la morte non deve far paura, si è sempre vivi quando si è presenti nel cuore di chi si ama.

Il nostro lavoro è difficile a volte davvero duro: vedere il dolore nel volto dei famigliari è da star male ecco perché cerchiamo di essere umanamente professionali con loro attraverso il rispetto e la vicinanza.

Sono questi aspetti, insieme ad altre curiosità, che vogliamo farti conoscere con il nostro blog.

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