Tanatoestetica: il ricordo ha la sua bellezza

La vita va vissuta sempre con dignità, non dimenticando mai ciò che siamo, ciò che sentiamo.

Vivere, non sopravvivere dicono tutti, Poi arriva la morte che ci rende tutti uguali.

E’ vero. Davanti a lei, la Morte, siamo tutti uguali; non esistono ricchi né poveri, non esiste il giovane né il vecchio.
E’ un momento che accomuna gli esseri umani, ma è anche vero che la dignità, il proprio essere non può essere messo da parte nemmeno nel momento più doloroso.

La Morte infatti è un rito che, in molte popolazioni dei Nativi d’America, è simbolo di passaggio a nuova vita:

“Ecco perché per loro il concetto di Morte non è la “fine” di qualcosa ma una tappa del cerchio sacro, il simbolo che rappresenta la manifestazione di Wakan-Tanka, il Grande Mistero, che per tutti i nativi d’America è la massima divinità. Il passaggio della vita alla morte quindi, non era che un viaggio nel quale, chi rimaneva sulla terra, non si sentiva mai abbandonato grazie alla presenza di spiriti guida che si palesavano sotto forma di animali o forze soprannaturali ed assumono nomi diversi in relazione alla popolazione che li venera. Ad esempio, per alcune tribù le civette erano spiriti che si erano reincarnati; oppure: se una persona veniva uccisa tagliandole la gola o veniva privato del suo “scalpo”, il suo spirito restava sulla terra a disturbare i vivi; talvolta causando malattie e morte.”

Essere ricordati naturalmente, con quel sorriso così… con le labbra sempre colorate da un delicato rossetto…le mani ben curate…

Sì, si può: si chiama tanatoestetica e il professionista è il tanatoesteta cioè “colui o colei (sono molte le donne che si specializzano in questo particolare campo) che si prende cura della salma prima che venga esposta per l’ultimo saluto cercando di conferirle un aspetto più naturale possibile, simile a quello che aveva in vita. Un risultato che viene ottenuto attraverso specifici trattamenti cosmetici e, quanto si rende necessario, con avanzate tecniche ricostruttive.” (oltremagazine.com)

E’ una figura importante al servizio di famigliari e amici del defunto che possono così, ricordare il proprio caro nel modo migliore.

E’ un professionista dunque che ricostruisce e dà dignità a un corpo sfigurato da un incidente oppure messo a dura prova da una malattia: interventi mirati che cercano nel miglior modo possibile di ridare la migliore immagine alla persona anche nel passaggio definitivo.

Come diventare tanatoesteta? Come per ogni professionista, ci sono dei corsi da frequentare e, in questo caso, sono organizzati dalla Scuola Superiore di formazione per la funeraria.

Essa, dal 30 marzo al 3 aprile 2020, organizza il corso di primo livello per la figura Professionale del Tanatoperatore: “I trattamenti proposti rispondono a tre obiettivi primari (la disinfezione, la conservazione e il ripristino) per preservare, in condizioni di massima sicurezza, l’aspetto della salma per il periodo necessario al commiato. Il risultato è una presentazione estetica in grado di eliminare anche le deturpazioni create da traumi o da ferite.”

Si tratta di un qualcosa molto lontana dalla tanatoprassi (impossibile in Italia ma legali in Francia e Spagna), ma comunque in continua evoluzione visto ce, in Italia, ne esistono diverse di tanatoestete.

Come, per esempio, Isela Lizano (intervista da ilgiornaleweb.it):

“Mi sono diplomata in cosmetologia in Costa Rica nel 1984 e già allora decisi che avrei frequentato un corso di tanatoestetica per mettere a disposizione di coloro che avevano perduto i propri cari la mia conoscenza del settore, fino a quel momento studiata sui libri di scuola e sperimentata solo su persone vive. Il fine ultimo è ridare alla salma un aspetto naturale in modo da rendere visivamente meno traumatico il distacco del defunto dai parenti.”

Oppure Irene Nonnis (intervista da donnesulweb.it):

“Quanto dura un intervento? Dipende… Diciamo che mediamente in 50 minuti riesco a preparare una salma poi ci sono casi in cui bisogna ricostruire parti mancanti o altro e allora ci posso mettere anche svariate ore.”

Avresti mai immaginato che esistesse un lavoro del genere?

Ecco perché un blog, per darti la possibilità di conoscere e capire meglio il nostro lavoro, fatto di mille sfaccettature e tanti aspetti sconosciuti!

Per esempio, abbiamo affrontato temi come la cremazione:

“la cremazione non riduce il cadavere in cenere; i resti di tale pratica infatti sono frammenti ossei friabili che, in un secondo momento, vengono sminuzzati fino a formare una cenere che poi, a seconda degli usi, delle consuetudini o delle ultime volontà della persona defunta, vengono custodite in un’urna, sepolte, sparse, o altro. Da quei secoli ad oggi, le cose sono profondamente cambiate e, il rito di cremare il corpo di un proprio caro, è aumentata: si stima, secondo i dati relativi al 2008, che, nelle due principali metropoli del Nord Italia, Torino e Milano, la percentuale supera il 50%.”

Così come quello della stagnatura:

“L’articolo 30 DPR n.285/1990 sui centootto articoli che stabilisce norme su l’unito regolamento di polizia mortuaria, definisce gli standard di confezionamento dei cofani in metallo di cui è costituita la doppia cassa. Proprio dall’Art. 30 del vigente regolamento di polizia mortuaria si desumono tutte le caratteristiche tecniche che un feretro.”

Diverse fasi, tanti momenti, tutti aspetti che curiamo con rispetto verso il defunto e la famiglia nel momento più difficile per loro: dire addio al proprio caro/a.

Fasi, momenti, dettagli e curiosità che potrai conoscere seguendo il nostro blog!

Killfie: morire per un selfie, perché?

La vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia. (Vasco Rossi)

Ci è sembrata la citazione perfetta per l’argomento di oggi. Un tema non facile, non banale e nemmeno da sottovalutare.

In questo articolo parliamo infatti di Killfie, i “selfie che uccidono”; quando cioè per vivere un momento si mette a rischio la propria vita.

Ecco che Vasco ci è sembrato perfetto: un brivido, un equilibrio, la follia… Follia che, con il Killfie, ha perso il suo equilibrio e più che brivido è morte.

Una pratica fin troppo (ab)usata dai giovani visto che la fascia d’età più colpita è quella compresa tra i 20 e i 29 anni.

Rischiare di perdere la vita per un selfie, ma davvero si è arrivati a tanto?

A quanto pare sì… e il sito Life Tre Punto Zero, cerca di darne una spiegazione storica e sociale:

“Addentrandosi nell’aspetto storico possiamo osservare che questo fenomeno sia emerso in maniera recentissima anche se le esperienze estreme e le gesta al limite son sempre state compiute e immortalate in ogni epoca (si veda per esempio la tauromachia). Si può osservare le statistiche che, seppur variegate, ci mettono in guardia: mentre alcuni dati – a nostro avviso imprecisi e forse volutamente allarmistici – riportano 170 morti all’anno, le ultime ricerche attestano che dal 2011 a febbraio 2018 le vittime dichiarate.”

Alla base di questa macabra moda ci sono, tra gli altri, elementi quali “la dispersione scolastica e l’analfabetismo funzionale, che pregiudicano la disponibilità di un ascensore sociale efficiente, l’investimento in capitale umano e, quindi, la crescita individuale e collettiva.” (State of mind)

Quale sarebbe il motivo per cui farsi un selfie ad alto rischio? A quanto pare diversi:

  • per annegamento,
  • per morti legate ai mezzi di trasporto,
  • cadute da posti molto alti,
  • fulminate da scariche elettriche,
  • per incidenti con armi da fuoco,
  • per attacchi da parte di animali selvaggi.

Per chi ama la vita è assurdo pensare a cose del genere, eppure in diversi paesi del mondo è una pratica molto diffusa come in India dove per un Killfie muoiono 159 persone.

A seguire: 16 vittime in Russia, 14 negli USA, 11 in Pakistan, 30 nei paesi asiatici, 17 in Europa, 4 in Africa e 2 in Oceania.

Interessanti spiegazioni e interpretazioni del fenomeno vengono dalle teorie di Daniel Kahneman, psicologo israeliano i cui lavori hanno permesso di applicare la ricerca scientifica nell’ambito della psicologia cognitiva ai fini della comprensione del processo decisionale dei soggetti nella sfera economica, in condizioni sia di certezza sia di incertezza.

Si parla cioè di un “Sistema 1” e “Sistema 2”: il primo è intuitivo, impulsivo, è volto alla gratificazione immediata; il secondo invece dà ordine e senso alle informazioni che gli provengono dal “Sistema 1”.

Pare che nei giovani il “Sistema 1” sia quello dominante; l’istinto che prevarica sulla regione e impedisce di capire il pericolo anzi, al contrario, il cervello si eccita davanti a tali situazioni.

Tutto ciò viene poi amplificato dai social o meglio, dall’uso distorto dei social da parte dei ragazzi che rende quindi il Killfie più frequente di quanto lo sia; portando a un’escalation competitiva per sbaragliare tutti gli altri competitors e diventare il capo-branco, ovvero degno di entrare a far parte di una determinata community.

Come risolvere il problema? Non è semplice, non è un processo rapido ma la questione merita allerta da parte di tutti.

Un articolo questo che fa pensare anche noi, non ci ha lasciato indifferenti ma abbiamo ritenuto giusto affrontarlo per metterne a conoscenza i nostri follower e clienti.

Ci vediamo nei prossimi post blog!

Addio all’amico a 4 zampe: cosa fare?

Superare il dolore non è una cosa facile, né semplice, nè veloce. Spesso richiede anni e, stando a quanto dicono in molti, bisogna farsi attraversare dal dolore, viverlo; solo così potrà scorrere e andare via.

Come dire addio per sempre a un nostro caro? L’addio è solo una questione fisica, se è stata/o davvero importante, rimarrà sempre con noi e dentro il nostro cuore.

Salutare per sempre una persona che abbiamo amato è un momento complicato, allo stesso modo è complicato dire addio a un caro amico a 4 zampe.

I nostri amici animali sono entrati nelle nostre viste e nelle nostre case non solo come “compagnia” ma fanno parte e vivono la quotidianità.

Ci si affeziona alle loro coccole e alla loro presenza proprio come si vuole bene a un amico; ecco perché la morte di un gatto o di un cane può essere fonte di dolore e dispiacere.

Rispetto a molti anni fa quindi le cose sono profondamente cambiate, oggi un cane o gatto deceduto non è più trattato come banale rifiuto ma come un essere che merita cura e attenzione.

Un’attenzione sempre maggiore intorno all’argomento al punto che dallo scorso marzo si svolgono corsi per dire addio all’animale domestico proposto dalla Scuola Superiore di Formazione per la Funeraria di Bologna.

L’intento di un corso simile è quello di “contribuire a rafforzare il valore culturale dell’affezione all’animale da compagnia con specifiche informazioni sulla Death Education nei confronti del pet e fornire gli strumenti per accrescere le competenze volte alla corretta organizzazione di un commiato per l’animale da compagnia.”

A chi rivolgersi se il nostro amico a 4 zampe muore? Al proprio veterinario, per esempio, che ha il compito di certificare il decesso dell’animale; inoltre la legge prevede che tale documento vada portato all’Asl dai 3 ai 15 giorni a seconda delle disposizioni di ogni singola Azienda sanitaria locale. Il cane, a questo punto, verrà cancellato dall’anagrafe. Per il gatto, invece, non è necessario alcun certificato.

Sempre restando alla normativa, il sito La legge per tutti precisa che:

“Il certificato di morte del cane deve riportare il fatto che l’animale non abbia morso né una persona né un altro animale negli ultimi 15 giorni. Se così fosse stato, infatti, il cane non potrebbe essere soppresso finché non viene accertato che non abbia contagiato la rabbia a qualcuno. E’ importante riportare questo episodio: in caso di omertà, pur con tutte le buone intenzioni, sia il proprietario dell’animale domestico sia il veterinario avrebbero delle responsabilità nel peggiore dei casi.”

Dove si può seppellire un animale domestico? Quattro le strade possibili:

  1. In giardino a patto che il veterinario firmatario del certificato di morte lo sappia, perché se il microchip è rimasto all’interno del corpo dell’animale, l’Asl deve rilevarlo nel terreno del proprietario prima di disattivarlo. Inoltre, è possibile seppellire l’animale domestico in giardino solo se l’animale non è morto a causa di una malattia infettiva;
  2. Portare dal veterinario il corpo dell’animale defunto in modo da portarlo in qualche azienda che si occupi di cremazione di cadaveri;
  3. Avere le ceneri del proprio animale se si sceglie la cremazione singola;
  4. Portare il corpo dell’animale presso un cimitero per animali presentando anche il certificato di morte firmato dal veterinario.

Per tanti il rapporto con l’amico a 4 zampe è davvero unico e indissolubile e per lui vuole qualcosa di più: ecco che l’azienda funebre offre un servizio dedicato all’amico animale.

Ci siamo anche noi come impresa funebre a garantirti un servizio di cremazione per il tuo animale domestico di qualsiasi taglia. Ti offriamo quindi un servizio completo anche per i nostri amici a quattro zampe, nel pieno rispetto della normativa vigente.

Vicini ai nostri clienti in un momento di grande dolore unendo emozione e professionalità: è questo il nostro obiettivo quando lavoriamo.

Se sei curioso e vuoi conoscere tutti gli aspetti del mestiere, segui il nostro blog.

I Nativi d’America e la Morte: un addio senza confini

Carissimi amici del blog, ricordate quando abbiamo anticipato nell’editoriale di cosa avremmo parlato nei nostri articoli?

Bene, abbiamo mantenuto la promessa.

Abbiamo trattato dei fiori:

Parlando dei Fiori d’Autunno abbiamo ricordato un prezioso insegnamento: “Tre cose ci sono rimaste del Paradiso: le stelle, i fiori e i bambini.”

Ma il Fiore è una scelta perfetta in tutte le stagioni, anche in Estate, perché “Facile o difficile che sia esprimere un sentimento come l’amore, possiamo immaginare quanto faticoso ci appaia talvolta un gesto di cordoglio verso i familiari di un defunto? Ci assale il timore di urtare la loro sensibilità, di essere inopportuni e inadeguati. In quei momenti nessuno può far nulla. Ecco perché – forse – dirlo con un fiore, è ancora oggi la forma migliore per portare le proprie condoglianze in senso di affetto e vicinanza? Cosa si fa quando la famiglia chiede espressamente a parenti e conoscenti di astenersi dall’usanza, e di preferire opere di bene?”

E lo stesso vale in Primavera, perché come ci ricorda Malcolm de Chazal “I fiori sanno ridere, i fiori sanno sorridere, i fiori sanno anche assumere un’aria triste, giungendo persino alla disperazione – ma nessun fiore sa piangere. La natura è totalmente stoica; per questo ci offre il più sublime esempio di coraggio ed è la nostra maggiore consolatrice.

 

 Oggi iniziamo un altro filone di cui vi avevamo già accennato, ed iniziamo a parlare dei riti funebri nel mondo, vedendo nello specifico cosa accade ai nativi del Nord America, come vivono e interpretano la morte e lo facciamo subito con questi versi:

Tieni stretto ciò che è buono,

anche se è un pugno di terra.

Tieni stretto ciò in cui credi,

anche se è un albero solitario.

Tieni stretto ciò che devi fare,

anche se è molto lontano da qui.

Tieni stretta la vita,

anche se è più facile lasciarsi andare.

Tieni stretta la mia mano,

anche quando mi sono allontanato da te.

Questa è una poesia indiana che rimanda al concetto dell’aldilà, di ciò che attende l’uomo dopo la morte.

Iniziamo con queste splendide parole l’articolo di oggi analizzando e cercando di capire come le popolazioni aborigene del Nord America interpretavano la Morte.

Ma chi erano questi Indiani? Il termine più appropriato è Nativi Americani, il termine indiano infatti fu coniato con Cristoforo Colombo che, in cerca di una rotta che consentisse di raggiungere l’Asia attraversando l’oceano Atlantico, credette di aver raggiunto le Indie Orientali, ignaro invece di aver toccato le coste di un continente allora sconosciuto agli Europei; gli spagnoli battezzarono quindi il nuovo mondo “Indie occidentali”, e solo successivamente America, in onore di Amerigo Vespucci.

Molti di questi nativi del Nord America, furono popolazioni nomadi o seminomadi e questo li portò a vivere la Terra intensamente, in tutti i suoi aspetti ed elementi.

Ecco perché per loro il concetto di Morte non è la “fine” di qualcosa ma una tappa del cerchio sacro, il simbolo che rappresenta la manifestazione di Wakan-Tanka, il Grande Mistero, che per tutti i nativi d’America è la massima divinità.

Il passaggio della vita alla morte quindi, non era che un viaggio nel quale, chi rimaneva sulla terra, non si sentiva mai abbandonato grazie alla presenza di spiriti guida che si palesavano sotto forma di animali o forze soprannaturali ed assumono nomi diversi in relazione alla popolazione che li venera.

Ad esempio, per alcune tribù le civette erano spiriti che si erano reincarnati; oppure: se una persona veniva uccisa tagliandole la gola o veniva privato del suo “scalpo”, il suo spirito restava sulla terra a disturbare i vivi; talvolta causando malattie e morte.

Una forma di comunicazione non diretta con l’uomo comune, ma che ha bisogno di essere mediata da uno sciamano che possiede anche la facoltà di interagire con i defunti.

Interazioni e scambi con l’Aldilà che variavano a seconda delle diverse tribù: i Sioux, forse i più conosciuti, ritengono che una persona in punto di morte possa vedere il futuro. Mentre i riti funerari erano dei veri e propri passaggi e rinnovamento come con la danza del sole oppure la festa di Wokiksuye Wohanpi con la quale si salutano le anime prima della loro dipartita verso il regno dei morti.

Presso i Comanche invece le donne che muoiono mettendo alla luce un bambino ricevono una speciale considerazione, pari a quella di un guerriero che muore in un combattimento. La morte in battaglia, poi, viene considerata molto onorevole.

Infatti, sono particolarmente importanti i riti prima di un combattimento: purificarsi, vestirsi con gli abiti più belli, intrecciarsi i capelli è indispensabile per essere pronti all’eventuale lungo viaggio.

Il popolo dei Pawnee tutto era legato alle stelle, alla Via Lattea e alla Stella del Mattino venerata come una vera e propria divinità.

A lei, secondo un rituale antichissimo, veniva di tanto in tanto sacrificata una giovane prigioniera la cui anima, come narra la leggenda, serviva per assicurare fertilità ed abbondanza a tutta la comunità.

Anche per la sepoltura i riti erano diversi; sicuramente non era prediletta la terra. Alcune tribù del sud come i Shoshoni e i Kiowa usavano seppellire all’interno di grotte o sotto tumuli di pietre.

Dopo la cerimonia venivano distribuiti gli averi del defunto fra le persone più bisognose del villaggio e il nome del defunto non era più pronunciato da nessuno sino a che a qualche nuovo nato non venisse dato appunto quel nome.

Miti, leggende, tradizioni: ogni mondo e ogni popolo ha le sue ma il rapporto con l’aldilà, l’addio a una persona cara ha sempre forme di grande rispetto, onore e amore.

Elementi che da sempre caratterizzano il nostro lavoro, ingrato, difficile e ricco di momenti di commozione ma svolti sempre con professionalità e attenzione verso la famiglia del defunto.

Un lavoro dunque del quale ti facciamo conoscere curiosità e caratteristiche non solo italiane ed europee ma internazionali.

La morte appartiene a tutti, e ognuno ne interpreta il rito con le proprie usanze e consuetudini.

Seguici dunque sulle nostre news e tante saranno le curiosità che scoprirai!

Cosa accade al corpo dopo la morte?

Si decompone!

Perché un corpo si decompone dopo la morte?

Sappiamo tutti che Quando una persona muore il corpo fisico cessa di esistere. Tuttavia, il resto della sua esistenza o coscienza continua. Secondo le religioni l’anima continua a vivere.

Esiste davvero un luogo dove le anime dei nostri cari ci guardano, guidano e proteggono?

Domande difficili alle quali dare una risposta, sicuramente una persona cara resta per sempre nei nostri cuori, l’affetto va oltre e supera la dimensione terrena.

Il legame resta intatto, non ha barriere né confini, non si ferma nemmeno quando di quel corpo restano solo i resti, che nel tempo diventano polvere.

Perché avviene tutto ciò? “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”, Genesi (3,19).

Questo è l’aspetto più conosciuto della religione Cattolica che richiama alla Terra la parte fisica; tutto tornerà alla Madre Terra da dove siamo stati generati.

Ma al di là di questo c’è una spiegazione scientifica, un processo che porta il corpo ad attraversare diverse fasi di decomposizione. Oggi, in questo articolo, vogliamo approfondire questo momento delicato in cui i nostri cari lasciamo definitivamente la parte fisica e che tutti noi vivremo come atto finale del nostro passaggio.

La disgregazione del corpo umano è causata da una serie di fattori, tra cui, il principale è l’assenza di ossigeno ma anche il terreno, la temperatura, l’umidità e la chimica.

Un processo che si manifesta da subito, a poche ore con la circolazione sanguigna che si ferma generando il cosiddetto pallor mortis.

Il passaggio successivo algor mortis porta il corpo del defunto ad avvicinare la sua temperatura corporea all’ambiente circostante; fino al rigor mortis che comparta l’irrigidimento dei tessuti muscolari, che resteranno in questo stato per le successive 24-36 ore.

Si parla sempre più spesso di fattori esterni che accelerano o rallentano il processo di decomposizione.

Sembra impensabile, ma i conservanti alimentari giocano un ruolo fondamentale.

Così come questi, come sappiamo, hanno la funzione di ritardare la degradazione dei cibi, preservandone tanto le caratteristiche organolettiche, allo stesso modo pare che la presenza dei conservanti chimici alimentari nel corpo ne rallenti la decomposizione.

Qual è il nesso?

La ricerca scientifica ritiene che “la decomposizione di un cadavere è formata da una serie di processi molto complessi; mentre i conservanti sono strutturati per ottenere un obiettivo a breve termine.”

Sappiamo che sono aspetti ai quali, in momenti difficili come l’ultimo saluto a una persona cara, non si pensa assolutamente ma sono processi che importanti per noi e per il nostro lavoro.

Conoscere tali processi di tipo anche chimico, fa parte infatti della nostra professionalità insieme all’attenzione e alla vicinanza a famigliari e amici del defunto.

Possiamo dire che il nostro lavoro ha due aspetti uniti dalla parte tecnico-operativa e da quella più emozionale e delicata.

Il corpo dopo la morte si decompone, torna alla Terra e da essa ne è influenzata.

Tutto quello che è vivo, esterno rimane lì, non ha più nulla a che fare con l’ultimo viaggio che i nostri cari si apprestano a fare.

Queste informazioni di carattere generale per non cadere nelle trappole delle fake news e di tutte le non-informazioni che girano intorno all’argomento.

Il nostro blog è giovane, ma ogni mese ci teniamo ad informare e a prenderci cura delle info sane e utili per i curiosi e per chi ama approfondire gli argomenti che ruotano intorno al grande mistero della morte.

Approfondisci anche:

I fiori d’autunno

Mentre Paul Claudel scrisse: “Un fiore è breve, ma la gioia che dona in un minuto è una di quelle cose che non hanno un inizio o una fine”.

Pensare di portare un fiore sulla tomba di chi non è più vicino a noi, è un modo delicato di vivere ancora quella presenza, di sentire la persona cara vicina.

Non è facile lasciare andare qualcuno che si è amato, ma attraverso i fiori noi rendiamo ancora vivo quel sentimento!

La morte nella letteratura classica

“In ambito letterario cos’è la morte? Iniziamo da uno più notevoli esponenti letterari italiani del periodo a cavallo fra Settecento e Ottocento: Ugo Foscolo.

Per lui e per gli autori romantici del suo periodo, la morte è il momento della verità per l’uomo che si misura con sé stesso. La morte è dunque confortata del compianto delle persone care e se Foscolo non crede nella presenza dell’aldilà cristiano, crede nella corrispondenza d’amorosi sensi (Dei Sepolcri) che consente ai vivi di ripercorrere le vicende esemplari degli uomini grandi del passato imitandoli.

Con il Dei sepolcri dunque la morte cessa di essere vista come evento distruttivo ed essa consente di proiettare nel futuro la fama di chi ha vissuto degnamente.”

La cremazione: ecco cosa fare

Chi decide per la Cremazione di un defunto? L’attestazione del defunto stesso, il quale esprime questa volontà in 5 modi: scopri quali nel nostro articolo.

5 fiori d’autunno per i nostri cari defunti

Un fiore, un dono che fa sempre piacere: un modo dolce di ricordare qualcuno, di non dimenticare chi ci vuole bene, chi ci ha voluto bene, chi abbiamo amato.

Un anonimo paragonò i fiori alle tre cose belle rimaste in paradiso: Tre cose ci sono rimaste del Paradiso: le stelle, i fiori e i bambini.”
Mentre Paul Claudel scrisse: “Un fiore è breve, ma la gioia che dona in un minuto è una di quelle cose che non hanno un inizio o una fine”.

Pensare di portare un fiore sulla tomba di chi non è più vicino a noi, è un modo delicato di vivere ancora quella presenza, di sentire la persona cara vicina.

Non è facile lasciare andare qualcuno che si è amato, ma attraverso i fiori noi rendiamo ancora vivo quel sentimento!

Ma come scegliere i fiori migliori in questa stagione? Questa volta forse dovremo fare un po’ i conti con la stagionalità. Sicuramente se conosciamo bene la persona che ci ha lasciato, portare i suoi fiori preferiti è il gesto più bello per sentirlo/a ancora vicino; ci sono però alcuni fattori da prendere in considerazione tipo il periodo dell’anno.

D’estate infatti i fiori tendono a seccare prima a causa del caldo quindi servono tipologie più resistenti:

“Non dimentichiamo quello che è il fiore per eccellenza delle cerimonie e riti funerari: il crisantemo. Presenti in svariati colori, i più noti sono bianchi e gialli, i crisantemi ben si adattano ad ogni condizione climatica. Il suo essere definito il “fiore dei morti” è semplicemente legato al fatto che la sua fioritura avviene nel mese di novembre periodo che, in Italia, celebra la festa del Giorno dei Morti.”

Quando con l’autunno arriva il fresco, cambia anche la tipologia di fiore da preferire nei cimiteri. In questo articolo ve ne consigliamo 5 tra cui scegliere:

Il nome è legato all’omonimo mese dell’anno e fa parte della vastissima famiglia degli Aster, originari del Nord America, e la loro fioritura, estremamente abbondante, dura a lungo. Si tratta di una pianta perenne assai vigorosa quindi senz’altro è un acquisto interessante che non dovremo ripetere l’anno prossimo, perché esteticamente da il meglio di sé in vaso.

In autunno ha il suo momento di massima fioritura, con fiori in tonalità che vanno dal viola intenso al rosa tenue. Al di là della provenienza geografica, che ne determina anche alcune caratteristiche morfologiche, tutte le specie sono sempreverdi, perenni e di tipo arbustivo.

È una pianta particolarmente forte, e non è affatto raro infatti trovare fiori selvatici in prati e campagne. La gran parte delle specie di narciso dunque non teme né il freddo né il caldo, e può crescere anche se la temperatura scende di qualche grado sotto lo zero.

È una pianta sempreverde che si adatta bene a condizioni non proprio ottimali. Ama i luoghi luminosi e soleggiati per molte ore al giorno, ma tollera anche le esposizioni parzialmente ombreggiate. Non teme il caldo e resiste ben anche al freddo.

La pianta è una sempreverde estremamente rustica che resta sempre bellissima anche nei mesi invernali. In inverno e primavera offre inoltre una splendida fioritura bianca e rosata. Sa adattarsi agli ambienti secchi e sopravvive senza problemi nei climi più rigidi, sopporta l’esposizione all’ombra, anche se fiorisce meno, ed è particolarmente resistente alle intemperie.

Per non dimenticare basta anche in piccolo gesto come portare un fiore per tornare a rivivere i momenti più belli con la persona amata.

Per conoscere altri piccoli segreti e curiosità legate al nostro mestiere, continuate a seguirci sul nostro blog!

La morte nella letteratura classica

Come è stata interpretata e raccontata tra il Settecento e l’Ottocento da Ugo Foscolo

La domanda è sempre la stessa: cosa c’è oltre la morte?

Cosa accade quando lasciamo le spoglie mortali?

Cosa possiamo fare per alleviare il dolore e la perdita di un caro?

Cari amici lettori, oggi iniziamo un nuovo filone di articoli attraverso il quale cercheremo di raccontarvi come la morte è vista della letteratura italiana e dai grandi scrittori di ogni epoca.

Il tema della morte, del passaggio dalla vita terrena alla vita eterna, non è una novità né tantomeno uno scandalo anzi, è al centro della poetica di tanti.

Pensare alla morte fa paura, ci fa paura perché rappresenta la perdita di qualcosa di molto prezioso: la vita. La perdita della vicinanza di quelle persone che hanno parte di noi, nel nostro quotidiano; eppure la morte è solo una lontananza fisica, materiale. I nostri cari sono sempre nei nostri cuori e nei nostri pensieri, a volta basta un fiore portato sulla tomba per sentirli vicini.

Un discorso che vale per te, noi, pensando a cosa significa morire; ma in ambito letterario cos’è la morte?

Iniziamo da uno più notevoli esponenti letterari italiani del periodo a cavallo fra Settecento e Ottocento: Ugo Foscolo.

Per lui e per gli autori romantici del suo periodo, la morte è il momento della verità per l’uomo che si misura con sé stesso.

La morte è dunque confortata del compianto delle persone care e se Foscolo non crede nella presenza dell’aldilà cristiano, crede nella corrispondenza d’amorosi sensi (Dei Sepolcri) che consente ai vivi di ripercorrere le vicende esemplari degli uomini grandi del passato imitandoli.

Con il Dei sepolcri dunque la morte cessa di essere vista come evento distruttivo ed essa consente di proiettare nel futuro la fama di chi ha vissuto degnamente.

È l’opera dove il tema della morte è trattata in modo più ampio e chiaro visto che la sua nascita derivi a seguito di una discussione, avuta nel salotto letterario di Isabella Teotochi Albrizzi con il letterato Ippolito Pindemonte, sulla regolamentazione delle pratiche sepolcrali. L’editto stabiliva che le tombe dovevano essere poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati, e che fossero tutte uguali. Si volevano così evitare discriminazioni tra i morti. Per i defunti illustri, invece, era una commissione di magistrati a decidere se far incidere sulla tomba un epitaffio. Questo editto aveva quindi due motivazioni alla base: una igienico-sanitaria e l’altra ideologico-politica.

L’editto dunque offre al poeta l’occasione per svolgere una densa meditazione filosofica sulla morte e sul significato dell’agire umano.

Lo scrittore arriva alla conclusione che “In generale il fine ultimo della morte è che va accettata come naturale destino dell’uomo”.

Ma come si fa?

Come si può?

Questa accettazione non vuol dire vivere in maniera passiva, perché è comunque possibile indirizzare il percorso della storia verso una precisa evoluzione. In questo senso, la memoria è un prezioso elemento di riscatto contro l’oblio e il nulla a cui ci porta la morte.

Morte che Foscolo narra e scrive in diversi sui capolavori; ne riportiamo due:

 

In morte del fratello Giovanni

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo

di gente in gente, me vedrai seduto

su la tua pietra, o fratel mio, gemendo

il fior de’ tuoi gentil anni caduto.

 

La Madre or sol suo dì tardo traendo

parla di me col tuo cenere muto,

ma io deluse a voi le palme tendo

e sol da lunge i miei tetti saluto.

 

Sento gli avversi numi, e le secrete

cure che al viver tuo furon tempesta,

e prego anch’io nel tuo porto quiete.

 

Questo di tanta speme oggi mi resta!

Straniere genti, almen le ossa rendete

allora al petto della madre mesta.

Alla sera

Forse perché della fatal quiete

tu sei l’immago, a me si cara vieni,

o Sera! E quando ti corteggian liete

le nubi estive e i zeffiri sereni,

 

e quando dal nevoso aere inquiete

tenebre e lunghe all’universo meni,

sempre scendi invocata, e le secrete

vie del mio cor soavemente tieni.

 

Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme

che vanno al nulla eterno; e intanto fugge

questo reo tempo, e van con lui le torme

 

delle cure onde meco egli si strugge;

e mentre guardo la tua pace, dorme

quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

 

Per approfondire il tema nella letteratura ti invitiamo a leggere il nostro blog e a seguire i prossimi articoli!

Forse mai avremmo pensato di soffermarci sul discorso letterario, ma di fatto nulla è più straordinariamente avvincente del tema, laddove in queste righe ciascuno trae il suo conforto!

La “stagnatura” nei cofani di zinco: norme e particolarità

L’articolo 30 DPR n.285/1990 sui centootto articoli che stabilisce norme su l’unito regolamento di polizia mortuaria, definisce gli standard di confezionamento dei cofani in metallo di cui è costituita la doppia cassa

Proprio dall’Art. 30 del vigente regolamento di polizia mortuaria si desumono tutte le caratteristiche tecniche che un feretro

  1. Per il trasporto all’estero o dall’estero, fuori dei casi previsti dalla convenzione internazionale di Berlino, o da comune a comune, la salma deve essere racchiusa in duplice cassa, l’una di metallo e l’altra di tavole di legno massiccio.
  2. La cassa metallica, o che racchiuda quella di legno o che sia da questa contenuta, deve essere ermeticamente chiusa mediante saldatura e tra le due casse, al fondo, deve essere interposto uno strato di torba polverizzata o di segatura di legno o di altro materiale assorbente, sempre biodegradabile, riconosciuto idoneo.
  3. Le saldature devono essere continue ed estese su tutta la periferia della zona di contatto degli elementi da saldare.
  4. Lo spessore di lamiera della cassa metallica non deve essere inferiore a 0,660 mm se di zinco, a 1,5 mm se di piombo.
  5. Lo spessore delle tavole della cassa di legno non deve essere inferiore a 25 mm. Eventuali intagli sono consentiti quando lo spessore iniziale delle tavole è tale che per effetto degli intagli medesimi in ogni punto sia assicurato lo spessore minimo di cui sopra.
  6. Il fondo della cassa deve essere formato da una o più tavole, di un solo pezzo nel senso della lunghezza, riunite al massimo nel numero di cinque nel senso della lunghezza, fra loro saldamente congiunte con collante di sicura e duratura presa.
  7. Il coperchio della cassa deve essere formato da una o più tavole di un solo pezzo nel senso della lunghezza.
  8. Nel caso in cui il coperchio sia costituito da più facce che si trovino su piani diversi occorre che dette facce siano costituite da tavole di un solo pezzo nel senso della lunghezza.
  9. Le pareti laterali della cassa comprese tra il fondo e il coperchio devono essere formate da una o più tavole di un solo pezzo nel senso della lunghezza delle pareti stesse congiunte tra loro nel senso della larghezza con le medesime modalità tecniche delle tavole formanti il fondo. Le suddette pareti laterali devono parimenti essere saldamente congiunte tra loro con collante di sicura e duratura presa.
  10. Il coperchio deve essere saldamente congiunto alle pareti laterali mediante viti disposte di 20 in 20 centimetri. Il fondo deve essere saldamente congiunto ad esse con chiodi disposti di 20 in 20 centimetri ed assicurato con un mastice idoneo.
  11. La cassa così confezionata deve essere cerchiata con liste di lamiera di ferro, larghe non meno di 2 centimetri, distanti l’una dall’altra non più di 50 centimetri, saldamente fissate mediante chiodi o viti.
  12. Sia la cassa di legno sia quella di metallo debbono portare impresso ben visibile sulla parte esterna del proprio coperchio il marchio di fabbrica con l’indicazione della ditta costruttrice.
  13. Per il trasporto da un comune ad un altro comune che disti più di 100 chilometri, salvo il caso previsto dall’art. 25 e sempre che il trasporto stesso dal luogo di deposito della salma al cimitero possa farsi direttamente e con idoneo carro funebre, si impiega la sola cassa di legno

Inoltre, per la tumulazione ex Art. 77 del suddetto DPR “Le salme destinate alla tumulazione devono essere racchiuse in duplice cassa, l’una di legno, l’altra di metallo secondo quanto disposto dagli articoli 30 e 31.

Sulla cassa esterna deve essere apposta una targhetta metallica con l’indicazione del nome e cognome, data di nascita e di morte del defunto.”, da Funerali.org .

Al secondo comma della suddetta disposizione, il legislatore prescrive in modo tassativo come la controcassa di metallo debba essere saldata.
La legge, però, non indica un metodo preciso, ma raccomanda solo che la giuntura sia continua ed estesa su tutta la periferia della zona di contatto tra coperchio e vasca, così da garantire nel tempo la tenuta ermetica a gas e liquami, originati dai processi di decomposizione organica.

Per anni, questa norma è stata interpretata in modo molto riduttivo dalle industrie funerarie e l’unico sistema per sigillare i feretri, legittimato dalla legge, è parso la collaudata tecnica della chiusura a fuoco, per altro, richiesta espressamente anche dalla Convenzione di Berlino per i trasporti internazionali.

Questo metodo consiste in un processo mediante il quale si realizza l’unione dei due elementi di metallo sotto l’azione del calore, in modo da ottenere una solida continuità tra i pezzi, facendo entrare in gioco le rispettive azioni molecolari.

Per facilitare l’operazione si ricorre all’interposizione tra le due superfici di contatto di un particolare metallo fuso.

Per congiungere le lamiere di zinco, dunque, si adotta una brasatura “dolce”, usando materiali d’apporto con un basso punto di fusione, intorno ai 400 gradi, come stagno, piombo o loro leghe derivate.

Il calore necessario è generato mediante appositi attrezzi detti saldatori, alimentati a gas oppure dalla corrente elettrica.

I due lembi da unire debbono preventivamente essere levigati, deossidati e puliti con un agente chimico particolarmente corrosivo, come l’acido muriatico, così da rimuovere eventuali corpi estranei o impurità.

Le saldature “dolci” presentano un’ottima impermeabilità a liquidi o ai composti aeriformi, mentre dimostrano una debole resistenza agli sforzi meccanici; sono, quindi, indicate soprattutto per collegamenti non interessati a forti sollecitazioni di tipo fisico.
Approfonditi studi, invece, hanno dimostrato come anche i cofani mortuari siano sottoposti a notevoli deformazioni o flessioni della lamiera, a causa delle tumultuose trasformazioni degenerative del cadavere, racchiuso al loro interno.

La stagnatura del feretro è un’operazione molto delicata, perché bisogna dosare bene il calore e stendere uno strato omogeneo di metallo fuso lungo tutto il bordo della cassa, eventuali bolle o pori, infatti, ne comprometterebbero la resistenza.

Il progressivo raffreddamento dello stagno, presente nelle leghe d’apporto, costituisce un ulteriore motivo di inaffidabilità, poiché questo elemento tende a perdere l’elasticità necessaria per assicurare una chiusura stabile. Una volta raggiunta la temperatura di 13,2 gradi, infatti, lo stagno è soggetto a profonde modificazioni della propria struttura molecolare, diventa più fragile e perde progressivamente il proprio potere di coesione.
Questo processo è causato della formazione di cristalli polverulenti, fenomeno conosciuto anche come “peste dello stagno”, che, diffondendosi dapprima solo in alcuni punti, si estendono, in breve, a tutta la massa, e ne provocano una spontanea polverizzazione.

Proprio questa caratteristica sarebbe la causa delle improvvise rotture che originano lo scoppio della bara, con diffusione di gas e percolazione di materiale putrefattivo all’esterno del tumulo. L’involucro di zinco, infatti, è soggetto a notevoli sforzi e flessioni dello stesso nastro metallico, proprio per effetto della sovrappressione provocata dai gas che la salma sviluppa durante la fase enfisematosa della decomposizione cadaverica.

La tradizionale saldatura “a caldo” dei manufatti in zinco, comporta, poi, inevitabili contrattempi ed inconvenienti che la moderna tecnologia cerca progressivamente di eliminare o, quantomeno, ridurre.

Le leghe saldanti a base di piombo, come lo stesso stagno, sprigionano, infatti, fumi irritanti, particolarmente dannosi, soprattutto nel lungo periodo, per la salute degli operatori a diretto contatto con questi vapori. Si debbono poi anche considerare le pericolose esalazioni dell’acido muriatico, indispensabile per il decapaggio della lamiera zincata.
La legge n.626 del 1994 ora confluita nel D.LGS n. 81/2008, esaminando in generale i rischi derivati dal contatto ravvicinato con sostanze chimiche nocive, dispone che, sotto la responsabilità delle stesse imprese, tutti gli addetti alla saldatura con stagno (quindi anche i necrofori) debbano essere sottoposti periodicamente a visite mediche e controlli sanitari.

La chiusura del feretro rappresenta poi, per i famigliari del defunto, uno dei momenti più dolorosi e sgradevoli: l’ingombrante presenza di bombole, apparecchiature rumorose, assieme al sibilo sinistro del saldatore, produce nei dolenti un violento impatto emotivo.
L’utilizzo, poi, di strumenti a fiamma viva, da parte di mani inesperte, in ambienti domestici, o anguste camere mortuarie, ha spesso provocato piccoli principi d’incendio a carico di tendaggi o drappi funebri.

La circolare del ministero della Sanità 24 giugno 1993 n. 24 ha legittimato, come alternativa alle consuete leghe impiegate nella saldatura, la scelta di un adesivo denso, molto resistente e particolarmente elastico, tale da consentire una chiusura ermetica, d’eguale consistenza ed affidabilità nel tempo, delle casse metalliche. Invero la suddetta circolare parla di “saldatura a freddo” a proposito della sigillatura delle urne cinerarie, dove la chiusura ermetica delle stesse serve unicamente per evitare atti di profanazione delle ceneri o un’involontaria dispersione e non certo a trattenere i miasmi cadaverici, essendo le ceneri un prodotto inorganico, residuo di ossa calcinate, tuttavia questa tecnica, per un’ovvia proprietà transitiva, risulta, per prassi, applicabile anche ai cofani di zinco (il piombo, ormai non si usa più da decenni!)

L’innovazione, mutuata dall’esperienza francese, si presta, senza dubbio ad un ampio utilizzo, anche se permangono alcune perplessità da parte degli stessi agenti d’onoranze funebri. La legge italiana consente alle industrie funerarie di lavorare lo zinco con spessori molto ridotti, nell’ordine di 0,66 millimetri (solo nella tumulazione “in deroga” ex Art. 106 DPR n.285/1990 e conseguente allegato di cui al paragrafo 16 Circ. Min. n.24/1993, è richiesto uno zinco rinforzato di 0.74 mm, corrispondente al laminato del n. 13 secondo le norme UNI)

Una tale sottigliezza produce, soprattutto nei bordi, rilevanti irregolarità oppure ondulazioni della lamiera che possono produrre notevoli giochi tra vasca zincata e rispettiva copertura, addirittura di diversi millimetri. Difficilmente, quindi, si riesce subito a sistemare correttamente il coperchio entro la sua sede, spesso, anzi, bisogna ricorrere a leggerissime e sapienti correzioni, fino a che i bordi dei due elementi (cassa e coperchio) collimino perfettamente.
Il classico metodo della “stagnatura” prevede che, solo quando sia stato apposto il coperchio sul cofano, si stenda uniformemente, lungo tutto il perimetro, una colata di stagno. Eventuali soluzioni di continuità tra la copertura ed il contenitore inossidabile vengono così compensate dalla fusione di lega saldante.

Nel caso, invece, di chiusura “a freddo” della bara, destinata alla deposizione in un loculo, bisognerebbe stendere prima un velo di collante sull’intero labbro della vasca in zinco e, solo in seguito, si potrebbe applicare definitivamente il coperchio.

Possibili variazioni nell’assetto del coperchio, anche se impercettibili, per assicurare un’ottimale tenuta, riuscirebbero particolarmente problematiche, perché i lembi di zinco, già impregnati di mastice, opporrebbero una certa resistenza, provocando inopportune sbavature.
Se la vista del personale necroforo che opera sul feretro con acido e fiamma, per garantirne la sigillatura, risulta particolarmente impressionante, soprattutto per le persone più sensibili, già sconvolte dal lutto, a maggior ragione riuscirebbe ancor più insopportabile l’idea di assistere ad una sorta di teatro dell’assurdo, con gli operatori funebri che armeggiano confusamente con la colla per fissare il coperchio.

Interessante un’ultima riflessione: recentemente il Ministero della Salute, con D.M. 5 luglio 2011, poi rettificato con D.M. 2 novembre 2011, ai sensi dell’Art. 115 comma 1 lett. B) del D.LGS n.112/1998, ha autorizzato, giusta l’Art. 31 DPR n.285/1990, l’uso di materiali diversi dal nastro di zinco da impiegarsi per le bare da tumulazione stagna (in alcune Regioni, infatti, è ammesso anche il loculo areato che non richiede assolutamente la cassa saldata), ancora non ci è dato sapere come, tra vasca e coperchio realizzati non più in metallo, ma in polipropilene, sarà assicurata, nel tempo, la tenuta stagna.

Per l’industria funeraria nazionale si aprono nuove interessanti prospettive, rimanendo la tumulazione la pratica funebre prevalente in Italia”.

Bisogna spostarsi in altre nazioni per vedere quali sono le norme e le differenza, e questa materia la approfondiremo nei prossimi articoli.

Perché abbiamo scelto di essere sul quotidiano più letto d’Abruzzo?

Ebbene sì, al di là delle regole e delle mode abbiamo deciso di essere sul quotidiano più letto d’Abruzzo, il Centro.

Abbiamo compreso che essere in pubblicità sui giornali locali ci avvicina alla gente, ci avvicina al territorio e ci fa condividere e sostenere una parte della nostra amata Pescara.

Vero è che

  1. Il 12% dei lettori si informa solo sui quotidiani online;
  2. Il 35% legge solo quotidiani cartacei;
  3. Il 29% dei lettori si informa sia sui siti che attraverso la copia tradizionale;

Quindi, non potevamo non cogliere questo dato importante e vantaggioso e non scegliere la pubblicità sui giornali locali, perché in questo modo siamo più vicini ai nostri cittadini. Certo, voi direte, “che sia il più lontano possibile” 😊 Ci siamo chiesti anche: Come reagiscono le persone alla pubblicità sul giornale?

Di questi tempi di si sa, di pubblicità se ne vede ogni dove però sul cartaceo l’effetto è diverso e non proprio negativo.

Ti diamo subito 2 spiegazioni di questo:

  1. La pubblicità sul giornale cartaceo è una prassi consolidata, ragion per cui il lettore si aspetta di vedere uno spazio pubblicitario tra una pagina e l’altra oppure sotto a un articolo;
  2. La presenza di un tale spazio non infastidisce e non interrompe la lettura di un articolo cosa che, al contrario, succede online.

Ragion per cui, raccontare la nostra storia sul quotidiano d’Abruzzo, Il Centro, ci sembra il modo migliore per farci conoscere senza dar disturbo alla vostra lettura.

Ma il mondo della comunicazione non si ferma solo alla carta; come ben sai corre veloce tra social e canali tv…

Ed è per stare al passo con i tempi che, oltre a mostrare la nostra realtà su carta, abbiamo deciso di farvi sentire le nostre voci attraverso la televisione.

Anche in questo caso abbiamo scelto un nome simbolo per il territorio abruzzese: Rete 8.

Il programma Il lato positivo, condotto dalla giornalista Marina Moretti, ha infatti affrontato il tema La gestione della morte: un viaggio attraverso i riti e le cerimonie legate al culto della morte, che ci ha visto protagonisti.

Sul sito dell’emittente televisiva, ci ha colpito la descrizione fatta circa l’argomento della settimana:

“Una rara occasione per scoprire come è cambiato l’universo delle onoranze funebri e come l’ingresso dei giovani, imprenditori e imprenditrici, e l’utilizzo delle nuove tecnologie e della creatività stiano rivoluzionando il settore.
App, notiziari dedicati, cimiteri per animali, necrologi on line, marketing e comunicazione pubblicitaria rendono la gestione della dipartita un atto imprenditoriale moderno e al passo con i tempi.”

Giornali e tv dunque, il modo che abbiamo scelto per farti conoscere il nostro lavoro, per farti conoscere la nostra etica professionalità nell’avvicinarci alle famiglie in un momento così delicato.

Noi ci siamo con la nostra umanità e accuratezza per accompagnare un tuo caro nell’ultimo viaggio su questa terra.

Ci trovi in via Spaventa a Pescara, oppure ai numeri: 085 66021; 337 664777.

Perché un “Blog”? Per condividere la quotidianità di un’azienda “immortale”

Cosa significa “azienda immortale”?

Perché si nasce e si muore …sempre e nessuno è fuori da questo “passaggio”.

Quindi a “ciascuno degna sepoltura” e questo rende il nostro servizio e il nostro settore “immortale”.

Siamo a Pescara da cinque generazioni, da quando Emilio De Florentiis con il figlio Emidio (Midiuccio) e il giovane nipote Alfredo gestiva una bottega di falegnameria.

Dopo essere emigrato in Venezuela, Alfredo, fa ritorno e affianca il papà Emidio nella conduzione dell’Impresa Funebre di famiglia che, nel frattempo, aveva abbandonato l’etichetta di bottega artigiana per assumere i connotati di una vera impresa commerciale.

Nel 1995 Alfredo, con suo figlio Emidio, decide di aprire la propria Impresa Funebre “Emidio e Alfredo De Florentiis”, che da quel momento ha come unica sede via S. Spaventa 6/3 nella zona dello Stadio Adriatico, facendo dell’innovazione e dell’alta professionalità il proprio cavallo di battaglia.

Ora, con l’ingresso di Federica e Giorgia e l’approdo alla quinta generazione, è diventata di fondamentale importanza l’innovazione tecnologica che, ai tempi di oggi, significa essere online, entrare nella rete e instaurare un rapporto via web con le persone.

Ecco perché il sito internet, ecco perché oggi, nel 2019, nasce la sezione Blog/News.

A cosa abbiamo pensato quando abbiamo scelto di essere in Rete?

A raccontare storie. Ad andare oltre i nostri profili personali e farvi conoscere le tradizioni di tutto il mondo.

Avvicinarsi e parlare della morte è la cosa che più spaventa gli esseri umani, vero?

Proprio per questo, con la sezione Blog/News, vogliamo raccontare il nostro lavoro parlando di tante cose utili e interessanti. Per esempio dei riti che ogni nazione mette in atto nel salutare i propri cari, delle tradizioni, della storia, della evoluzione delle tecniche, dei materiali usati, della differenza tra un funerale e un funerale, e di tanto altro

Come il cibo, l’arte, la religione lasciano una traccia della storia e di quello che hanno fatto gli avi, così anche al culto della morte sono legate tradizioni, miti e leggende.

Nel Blog/News vi racconteremo quindi la realtà che accompagna il defunto, dalla tradizione più vicina a noi fino a quella più lontana: dall’Antico Egitto alle popolazioni africane, asiatiche ed europee.

Racconti, storie, e in definitiva, un viaggio a cui si aggiungeranno anche articoli che tratteranno gli aspetti tecnici del nostro lavoro come la scelta del legname, dello zinco, dei fiori e del loro significato.

Un viaggio che vogliamo condividere in un percorso durante il quale “saremo” su quel ponte che dalla vita porta all’altra dimensione dell’anima e chissà se tutto sembrerà meno doloroso e lontano!

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