Carissimi amici del blog, ricordate quando abbiamo anticipato nell’editoriale di cosa avremmo parlato nei nostri articoli?
Bene, abbiamo mantenuto la promessa.
Abbiamo trattato dei fiori:
Parlando dei Fiori d’Autunno abbiamo ricordato un prezioso insegnamento: “Tre cose ci sono rimaste del Paradiso: le stelle, i fiori e i bambini.”
Ma il Fiore è una scelta perfetta in tutte le stagioni, anche in Estate, perché “Facile o difficile che sia esprimere un sentimento come l’amore, possiamo immaginare quanto faticoso ci appaia talvolta un gesto di cordoglio verso i familiari di un defunto? Ci assale il timore di urtare la loro sensibilità, di essere inopportuni e inadeguati. In quei momenti nessuno può far nulla. Ecco perché – forse – dirlo con un fiore, è ancora oggi la forma migliore per portare le proprie condoglianze in senso di affetto e vicinanza? Cosa si fa quando la famiglia chiede espressamente a parenti e conoscenti di astenersi dall’usanza, e di preferire opere di bene?”
E lo stesso vale in Primavera, perché come ci ricorda Malcolm de Chazal “I fiori sanno ridere, i fiori sanno sorridere, i fiori sanno anche assumere un’aria triste, giungendo persino alla disperazione – ma nessun fiore sa piangere. La natura è totalmente stoica; per questo ci offre il più sublime esempio di coraggio ed è la nostra maggiore consolatrice.”
Oggi iniziamo un altro filone di cui vi avevamo già accennato, ed iniziamo a parlare dei riti funebri nel mondo, vedendo nello specifico cosa accade ai nativi del Nord America, come vivono e interpretano la morte e lo facciamo subito con questi versi:
Tieni stretto ciò che è buono,
anche se è un pugno di terra.
Tieni stretto ciò in cui credi,
anche se è un albero solitario.
Tieni stretto ciò che devi fare,
anche se è molto lontano da qui.
Tieni stretta la vita,
anche se è più facile lasciarsi andare.
Tieni stretta la mia mano,
anche quando mi sono allontanato da te.
Questa è una poesia indiana che rimanda al concetto dell’aldilà, di ciò che attende l’uomo dopo la morte.
Iniziamo con queste splendide parole l’articolo di oggi analizzando e cercando di capire come le popolazioni aborigene del Nord America interpretavano la Morte.
Ma chi erano questi Indiani? Il termine più appropriato è Nativi Americani, il termine indiano infatti fu coniato con Cristoforo Colombo che, in cerca di una rotta che consentisse di raggiungere l’Asia attraversando l’oceano Atlantico, credette di aver raggiunto le Indie Orientali, ignaro invece di aver toccato le coste di un continente allora sconosciuto agli Europei; gli spagnoli battezzarono quindi il nuovo mondo “Indie occidentali”, e solo successivamente America, in onore di Amerigo Vespucci.
Molti di questi nativi del Nord America, furono popolazioni nomadi o seminomadi e questo li portò a vivere la Terra intensamente, in tutti i suoi aspetti ed elementi.
Ecco perché per loro il concetto di Morte non è la “fine” di qualcosa ma una tappa del cerchio sacro, il simbolo che rappresenta la manifestazione di Wakan-Tanka, il Grande Mistero, che per tutti i nativi d’America è la massima divinità.
Il passaggio della vita alla morte quindi, non era che un viaggio nel quale, chi rimaneva sulla terra, non si sentiva mai abbandonato grazie alla presenza di spiriti guida che si palesavano sotto forma di animali o forze soprannaturali ed assumono nomi diversi in relazione alla popolazione che li venera.
Ad esempio, per alcune tribù le civette erano spiriti che si erano reincarnati; oppure: se una persona veniva uccisa tagliandole la gola o veniva privato del suo “scalpo”, il suo spirito restava sulla terra a disturbare i vivi; talvolta causando malattie e morte.
Una forma di comunicazione non diretta con l’uomo comune, ma che ha bisogno di essere mediata da uno sciamano che possiede anche la facoltà di interagire con i defunti.
Interazioni e scambi con l’Aldilà che variavano a seconda delle diverse tribù: i Sioux, forse i più conosciuti, ritengono che una persona in punto di morte possa vedere il futuro. Mentre i riti funerari erano dei veri e propri passaggi e rinnovamento come con la danza del sole oppure la festa di Wokiksuye Wohanpi con la quale si salutano le anime prima della loro dipartita verso il regno dei morti.
Presso i Comanche invece le donne che muoiono mettendo alla luce un bambino ricevono una speciale considerazione, pari a quella di un guerriero che muore in un combattimento. La morte in battaglia, poi, viene considerata molto onorevole.
Infatti, sono particolarmente importanti i riti prima di un combattimento: purificarsi, vestirsi con gli abiti più belli, intrecciarsi i capelli è indispensabile per essere pronti all’eventuale lungo viaggio.
Il popolo dei Pawnee tutto era legato alle stelle, alla Via Lattea e alla Stella del Mattino venerata come una vera e propria divinità.
A lei, secondo un rituale antichissimo, veniva di tanto in tanto sacrificata una giovane prigioniera la cui anima, come narra la leggenda, serviva per assicurare fertilità ed abbondanza a tutta la comunità.
Anche per la sepoltura i riti erano diversi; sicuramente non era prediletta la terra. Alcune tribù del sud come i Shoshoni e i Kiowa usavano seppellire all’interno di grotte o sotto tumuli di pietre.
Dopo la cerimonia venivano distribuiti gli averi del defunto fra le persone più bisognose del villaggio e il nome del defunto non era più pronunciato da nessuno sino a che a qualche nuovo nato non venisse dato appunto quel nome.
Miti, leggende, tradizioni: ogni mondo e ogni popolo ha le sue ma il rapporto con l’aldilà, l’addio a una persona cara ha sempre forme di grande rispetto, onore e amore.
Elementi che da sempre caratterizzano il nostro lavoro, ingrato, difficile e ricco di momenti di commozione ma svolti sempre con professionalità e attenzione verso la famiglia del defunto.
Un lavoro dunque del quale ti facciamo conoscere curiosità e caratteristiche non solo italiane ed europee ma internazionali.
La morte appartiene a tutti, e ognuno ne interpreta il rito con le proprie usanze e consuetudini.
Seguici dunque sulle nostre news e tante saranno le curiosità che scoprirai!