La domanda su cosa ci attenda dopo la morte non appartiene soltanto alle grandi religioni monoteiste. Infatti cristianesimo, ebraismo e islam sono arrivate dopo secoli da quando gli uomini avevano iniziato a dare un nome e un volto all’aldilà.
Grecia, Roma, le popolazioni nordiche e le civiltà americane hanno immaginato, e creduto fortemente in mondi, regni e passaggi che dessero un senso al mistero più grande.
E in fondo, oggi come allora, il motivo resta lo stesso, affrontare la paura della fine, trasformandola in racconto, rito e memoria per chi resta.
I Greci e il regno di Ade
Nella Grecia antica l’aldilà era governato da Ade, signore del mondo sotterraneo. I morti, accompagnati da Hermes, attraversavano il fiume Stige grazie a Caronte, il traghettatore che riceveva in pagamento un obolo posto nella bocca del defunto.
Il destino delle anime dipendeva dalla loro vita terrena: i giusti trovavano pace nei Campi Elisi, un luogo luminoso e sereno, mentre gli empi erano condannati al Tartaro, regno di tormenti. In mezzo, la maggior parte delle anime conduceva un’esistenza grigia nelle pianure dell’Ade, senza gioia né dolore.
Il mito greco mostra chiaramente quanto fosse forte il bisogno di distinguere tra una vita giusta e una malvagia, proiettando questa distinzione oltre la morte.
I Romani: continuità e culto degli antenati
I Romani ereditarono molto dalla cultura greca, ma diedero all’aldilà un significato ancora più sociale. Per loro la morte non segnava la rottura definitiva con la vita, ma i defunti continuavano a esistere come Manes, spiriti benevoli che proteggevano la famiglia. Il culto degli antenati era fondamentale e feste come i Parentalia o i Lemuria servivano a mantenere vivo il legame con chi non c’era più. Anche la sepoltura aveva un ruolo centrale e dare al defunto un luogo dignitoso significava garantirgli pace e riconoscimento. Nella mentalità romana, dunque, l’aldilà non era solo un destino individuale, ma un fatto comunitario che rafforzava i legami familiari e civili.
I popoli del Nord: Valhalla e il destino dei guerrieri
Nelle saghe norrene la morte non era uguale per tutti. Chi cadeva in battaglia con onore veniva accolto nel Valhalla, il grande salone di Odino, dove i guerrieri banchettavano in eterno preparandosi al Ragnarok, la battaglia finale.
Chi moriva di vecchiaia o di malattia non aveva lo stesso destino, ma la sua anima poteva finire in Hel, un regno più freddo e oscuro, privo della gloria del Valhalla.
Questa visione riflette un ideale culturale ben preciso, cioè che il valore supremo era il coraggio in battaglia. L’aldilà premiava chi incarnava maggiormente l’ideale del popolo.
Le civiltà precolombiane: dal Messico all’America del Sud
Anche le civiltà americane avevano immagini molto ricche dell’aldilà.
Per gli Aztechi, il destino dell’anima dipendeva dalla morte più che dalla vita. I caduti in guerra o le donne morte di parto raggiungevano il Tonatiuhichan, il paradiso del sole, mentre chi moriva per cause naturali attraversava un lungo viaggio verso il Mictlán, un regno sotterraneo che richiedeva prove e resistenza.
Per i Maya, invece, l’aldilà era strettamente legato alla natura: i defunti potevano vivere in regni associati alla foresta, all’acqua o al cielo stellato, riflettendo la loro profonda connessione con il cosmo.
In tutte queste culture, il rapporto con la morte era ritualizzato attraverso sacrifici, offerte e monumenti, segno di quanto fosse forte la volontà di accompagnare i defunti oltre il confine.
Perché gli antichi avevano bisogno di immaginare l’aldilà?
Se osserviamo queste culture diverse, ci accorgiamo che, pur con immagini differenti, il messaggio è molto simile: la morte non è mai vista come un vuoto assoluto, ma come un passaggio. Gli antichi immaginavano l’aldilà principalmente per dare conforto ai vivi, trasformando la paura in racconto; trasmettere valori morali e sociali, premiando i giusti o i coraggiosi; mantenere legami con la comunità e gli antenati, perché nessuno sparisse per davvero.
E questo è esattamente lo stesso bisogno che, in forme nuove, ritroviamo ancora oggi nelle religioni, nelle credenze e persino nei gesti quotidiani legati al lutto.
Dall’antichità al presente
Questi racconti antichi non sono rimasti confinati al passato. Le idee greche e romane hanno influenzato l’immaginario cristiano e occidentale, i miti norreni continuano a ispirare letteratura e cinema, le visioni delle civiltà precolombiane sopravvivono nelle tradizioni popolari e nei riti locali. Parlare dell’aldilà è sempre stato un modo per parlare della vita, dei valori che contano, di ciò che resta dopo di noi, della memoria che vogliamo lasciare. E anche se oggi la scienza e la modernità cercano risposte diverse, le antiche visioni ci ricordano che immaginare cosa c’è dopo è un modo per dare senso al presente.
Dal regno di Ade al Valhalla, dai Manes romani alle anime maya, ogni civiltà ha costruito il suo immaginario sull’aldilà. Sono storie diverse, ma unite da un filo comune, cioè il bisogno di credere che la morte non sia la fine. Perché immaginare un oltre non è soltanto un esercizio religioso o culturale, ma è un atto umano universale, che attraversa i secoli e continua ancora oggi a darci forza, speranza e consolazione. E in questo senso, le voci degli antichi non appartengono solo alla storia, ma continuano a parlarci, aiutandoci a vivere con più consapevolezza e rispetto ogni giorno che ci è donato. Noi delle Onoranze funebri Emidio e Alfredo De Florentiis siamo consapevoli di questa eredità, e cerchiamo ogni giorno di essere i migliori interpreti del nostro ruolo in questo mondo.